Quando il Fisco sbaglia: il principio di buona fede e l’articolo 10 dello Statuto del contribuente
Nel rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione, la legge parla chiaro: deve prevalere la collaborazione, non lo scontro. Eppure, a volte l’Agenzia delle Entrate sembra dimenticarlo, arrivando persino a portare i contribuenti in Cassazione per questioni che, alla fine, si rivelano infondate. È proprio in questi casi che torna centrale l’articolo 10 dello Statuto del contribuente, una norma che tutela i cittadini e impone alla pubblica amministrazione di agire con correttezza e buona fede.

Cosa dice l’articolo 10 dello Statuto del contribuente
Secondo l’articolo 10, i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria devono essere improntati alla collaborazione e alla buona fede. Questo significa che il fisco non può agire come se fosse un accusatore in cerca di colpevoli, invertendo l’onere della prova e scaricando tutto il peso sul contribuente. Anzi, se una persona si è attenuta alle indicazioni dell’amministrazione — anche se poi queste sono state cambiate — non possono essere applicate né sanzioni né interessi moratori.
In altre parole, se il contribuente si comporta correttamente e in buona fede, non può essere punito per errori dell’amministrazione o per cambiamenti successivi di interpretazione delle norme.
Una sentenza importante: Cassazione n. 12648/2024
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12648 del 2024, ha ribadito con forza questi principi. Il caso riguardava un contribuente accusato ingiustamente di non aver pagato una somma già caduta in prescrizione. Nonostante ciò, l’Agenzia delle Entrate ha portato avanti un lungo processo, arrivando fino al terzo grado di giudizio. Ma la Corte ha chiarito: non ci devono essere sanzioni per errori commessi in buona fede.
I giudici hanno sottolineato come un comportamento onesto e collaborativo da parte del cittadino non debba essere represso con rigidità, ma anzi rispettato. Inoltre, hanno ricordato che se un debito fiscale è prescritto, l’amministrazione non ha più diritto di chiederne il pagamento, e insistere su questo punto significa violare i diritti del contribuente.
Quando il fisco perde il senso della misura
Il caso solleva una questione più ampia: perché l’Agenzia delle Entrate insiste in contenziosi spesso pretestuosi, invece di cercare una soluzione condivisa con il contribuente? Quando un ufficio pubblico, anziché ascoltare, agisce come un giudice severo e interessato solo a colpire, si tradisce lo spirito della legge e si danneggia la fiducia nelle istituzioni.
Il rischio è quello di trasformare il fisco in un apparato punitivo che, anziché aiutare i cittadini, li mette in difficoltà. Si arriva così a processi sommari che consumano risorse pubbliche e generano disagio sociale, soprattutto tra i più vulnerabili.
Conclusione: la legge vale per tutti, anche per il Fisco
L’articolo 10 dello Statuto del contribuente non è un principio astratto: è una regola concreta che impone all’amministrazione di comportarsi con correttezza, rispetto e trasparenza. Le leggi devono valere per tutti, e chi rappresenta lo Stato dovrebbe essere il primo a rispettarle.
Il fisco ha un dovere: servire il cittadino, non perseguitarlo. E quando sbaglia, deve saper fare un passo indietro. Solo così si può costruire un sistema fiscale giusto, equilibrato e, soprattutto, umano.
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